Tralfamadore. E poi Dresda
Recensione di “Mattatoio n. 5” di Kurt Vonnegut
Chiamata a esprimere l’inesprimibile, a dare voce (e dunque, almeno in qualche misura, anche un perché, una ragione) a orrori così spaventosi da non poter essere neppure immaginati, la parola si scopre capace di superare di se stessa; trova lo slancio necessario a ridisegnare la propria geografia semantica, arriva a nutrirsi di quella folle, generosa anarchia che sola le permette di reinventarsi nella forma, nello stile, nell’architettura narrativa, e in tal modo replica alla realtà d’incubo con la quale è chiamata a misurarsi con l’abbagliante esultanza di un miracolo creativo.