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L’invenzione della nivola

Recensione di “Nebbia” di Miguel de Unamuno

Miguel de Unamuno, Nebbia, Fazi Editore

Il personaggio e il suo creatore, la finzione e la realtà, l’estro e la logica, il sonno e la veglia, il sogno e il pensiero, la morte e la vita. Coppie di opposti che forse sono la medesima cosa, o forse non sono altro che un inganno, una burla, un metafisico gioco di specchi, un labirinto impossibile, un enigma che non ha soluzione. E un narrare che rincorre stesso lungo una circolarità eterna che sembra comprendere ogni cosa, riassumere ogni contraddizione, assorbirla in unità e poi nuovamente farla esplodere in mille rivoli di dubbi, di ragionamenti, di sofismi, di domande senza risposta, di riflessioni che nel loro continuo, inafferrabile fluire è come se facessero il verso all’intera storia della filosofia, e che sempre si esauriscono in uno stanco sospiro d’incertezza. In questa ragnatela di dilemmi, i misteri più grandi, l’esistere e l’amare, fanno da sostrato a un racconto dolce e stralunato che ha la sottile impalcatura della fantasia, dell’intuizione improvvisa, e l’importuna tenacia del sospetto, del rovello interiore che non concede pace; un racconto che consapevolmente ignora qualsiasi canone e procede deciso verso nuove terre, nuove orizzonti, e in questo cammino si fa nivola, oggetto letterario sconosciuto, regno della libertà e delle possibilità infinite, luogo dello spirito nel quale a dominare sono il gioco, la confusione, l’indeterminatezza. “Quest’idea di chiamarla nivola […] fu un’altra ingenua astuzia per imbrogliare i critici. È un romanzo e un romanzo come qualsiasi altro scritto che sia presentato sotto questo nome; ossia che così si chiami perché in questo caso essere è chiamarsi. E che significano quelle dichiarazioni che è passato il tempo dei romanzi o dei poemi epici? Finché vivranno i romanzi passati, vivrà e rivivrà il romanzo. Si tratta di risognare la storia”.

Materia di un sogno (ma cosa è davvero reale in un sogno? Il sogno stesso oppure colui che sogna? Entrambi, magari, o al contrario nessuno dei due?), scherzo raffinato, essenza in cerca di una definizione, la nivola è nello stesso tempo romanzo e non romanzo; non stupisce dunque che in questa sua forma imprecisa, suscettibile di essere qualsiasi cosa (ma anche, è bene non dimenticarlo, cosa alcuna), Nebbia di Miguel de Unamuno, la più affascinante tra le nivole, abbia del romanzo la semplicità estrema di un intreccio ridotto ai suoi minimi termini – due protagonisti, un uomo e una donna, coinvolti in una grottesca e improbabile storia d’amore, e una serie di comprimari, amici, parenti, animali domestici, e non ultimo il narratore, carattere tra gli altri e Deus ex machina della sua opera, dapprima immanente divinità spinoziana e poi caricatura di un Onnipotente da Vecchio Testamento -, del non romanzo un serrato procedere dialogico che non conduce quasi mai a nulla, l’assenza pressoché totale d’ambientazione e descrizioni, un atemporale presente incapace di ancorare al vero quel che accade, e di tutto ciò che non è romanzo e non è non romanzo (e che non può essere compreso nel saggio, nel diario, nel monologo interiore, e neppure nella banalità travestita da trovata geniale dell’esercizio di stile) una sorta di sotterranea elettricità, di impazienza dei sentimenti che tracima tanto nell’entusiasmo quanto nel più oscuro pessimismo.

L’amore cantato in Nebbia, la passione di cui si accende il giovane perdigiorno Augusto, rampollo di buona famiglia che trascorre il suo tempo in oziose peregrinazioni della mente, convinto che la funzione più nobile degli oggetti sia quella di essere contemplati – “Questo cambierà nel cielo quando ogni nostra occupazione si ridurrà, o piuttosto si estenderà, a contemplare Iddio e tutte le cose in Lui. Qui, in questa vita, ci curiamo solamente di servirci di Dio; pretendiamo di aprirlo, come un ombrello, perché ci protegga da ogni genere di mali” – l’ossessione che sviluppa per Eugenia, insegnante di piano per necessità che più di qualsiasi altra cosa odia la musica, è uno scanzonato girotondo di assurdità, un furbo pretesto per mostrare al lettore la generale insensatezza del mondo, interpretata, anzi indossata come un abito di scena di volta in volta dagli attor comici della commedia “nivolesca” di Unamuno: oltre alla già citata coppia, gli zii di Eugenia, l’anarchico “teorico” Fermin e la moglie Ermelinda; Vittorio, amico e confidente di Augusto e suo avversario prediletto a scacchi; Liduvina e Corrado, saggi domestici di Augusto, Maurizio, fidanzato di Eugenia e ancor più perdigiorno di Augusto perché, a differenza di quest’ultimo, egli ha un disperato bisogno di lavorare ma non ha nessuna intenzione di cominciare a farlo; Rosario, ragazza di fatica che forse è solo un’altra tentazione per Augusto o forse è la sua unica possibilità di salvezza.

Nebbia è una lettura entusiasmante, un’opera pensata per spiazzare e blandire, per sedurre e confondere; è uno splendido gioco di prestigio, un magico schioccare di dita, un incantesimo che si rinnova a ogni pagina.

Eccovi l’incipit. La traduzione, per Fazi Editore, è di Stefano Tummolini. Buona lettura.

Quando Augusto si affacciò alla porta di casa stese il braccio con il palmo in giù e aperto, e volgendo gli occhi al cielo rimase un momento fermo in quella posizione statuaria e augusta. Non era che prendesse possesso del mondo esteriore, osservava solamente se pioveva.

2 commenti su “L’invenzione della nivola”

  1. E’ una danza circolare e appassionata, coreografia di istinti che non possono restare imbrigliati quando ci si ubriaca di una scrittura simile.
    Un movimento senza soluzione continuità, le cui uniche pause sono volte ad assorbire con più profonda consapevolezza una complessità che diventa respiro liberatorio una volta che non solo la si legge, ma la si fa propria, tessuto epidermico profondo di una giornata che chiama, di nuovo, la solita routine lavorativa.
    La lettrice ringrazia – le piace essere ripetitiva quando di bellezza e di inspiegabili reazioni a catena, seppur a distanza, si parla -, il suo portafoglio un po’ meno; la libreria vicina all’ufficio dovrebbe erigerti una statua! Buona settimana!

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