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L’apparenza e la realtà

Recensione di “Madre notte” di Kurt Vonnegut

Kurt Vonnegut, Madre notte, Feltrinelli

La prosa di Kurt Vonnegut non ha confini, abbraccia l’universale. È genialmente grottesca, certo, è ironica, beffarda, perfida, ma è soprattutto stralunata. Sembra che Vonnegut riesca ad affrontare ogni argomento, anche il più drammatico, con un’alzata di spalle e un sorriso disarmante; e che in tal modo riesca a disinnescarne la pericolosità, a esorcizzarne fantasmi e paure.

Così, senza apparentemente fare altro che sfoggiare puntuto sarcasmo e iperboli tanto deliziose quanto sterili, questo bizzarro scrittore, a ragione considerato uno dei più importanti autori americani, si spinge con raffinata noncuranza fin nel cuore della realtà e ne esplora ogni angolo. E il lettore lo segue senza difficoltà; invitato, quasi sospinto da una scrittura fluida, armoniosa, intonata come un canto. In Madre notte, Vonnegut si misura con l’orrore nazista raccontando la singolare vicenda dell’americano Howard W. Campbell, rinchiuso in un carcere israeliano con l’accusa di aver fatto propaganda per il regime hitleriano.

Campbell è colpevole o innocente? A prima vista sembra colpevole, ma c’è un’altra possibile versione dei fatti; che lui fingesse di aderire al nazismo e che i suoi infervorati discorsi alla radio in realtà nascondessero messaggi cifrati destinati al governo degli Stati Uniti; in una parola, che Campbell fosse una spia, di più, un eroe, pronto al sacrificio personale in nome di un bene più grande. Ma a guerra finita, e con Campbell destinato alla pena capitale in forza dei crimini commessi, importa davvero conoscere la verità? Sapere può in qualche misura cambiare le cose, i fatti, tutto quel che è successo?

Il compito di illustrare il senso (o la morale, per usare un’espressione dell’autore) di questo piccolo gioiello letterario, lo lascio a Vonnegut, a quel che scrive nell’introduzione del libro. Un’ultima nota, da questo romanzo è stato tratto un bel film, intitolato Confessione finale, con un più che ispirato Nick Nolte nei panni dell’enigmatico e tragico Campbell; se vi capita guardatelo. Dopo aver letto il romanzo, s’intende. 

Buona lettura. La traduzione, per Feltrinelli, è di Luigi Ballerini.

Questo è l’unico dei miei racconti di cui conosca la morale. Non è una morale meravigliosa, non credo; si dà soltanto il caso ch’io sappia di quale morale si tratti: noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere.

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