Recensione di “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia è uno scrittore unico. Non solo nell’ambito letterario italiano ma anche in quello continentale. A renderlo tale non è tanto la sua splendida prosa, né la perfezione dei suoi romanzi, né la rilevanza degli argomenti che tratta, o la capacità di analisi di cui si dimostra capace, o l’esattezza delle sue argomentazioni, o ancora la logica inattaccabile delle sue conclusioni.
Ciò che fa di Sciascia uno dei più grandi e importanti autori della storia della letteratura, un imprescindibile punto di riferimento per tutti coloro che sono venuti dopo lui (e che in massima parte, purtroppo, non sono stati in grado né di comprenderne la lezione né di valorizzarlo come avrebbe meritato, specie in Italia), è la franchezza, l’onestà piena, rigorosa e inflessibile dei suoi lavori, in ognuno dei quali si riflette per intero l’uomo Sciascia, il suo universo etico, il suo convincimento politico. L’autore di assoluti capolavori come Le parrocchie di Regalpetra (recensito qui), Il Consiglio d’Egitto (recensito qui), A ciascuno il suo(recensito qui), coincide con l’uomo, in tutto e per tutto. Leggere Sciascia, dunque significa incontrarlo, parlargli, e imparare da lui fortificati dalla certezza che quel che direbbe se ancora fosse vivo è esattamente quel che ha scritto.
Figlio nobile di una terra bellissima e tragica come la Sicilia (nacque in provincia di Agrigento, a Racalmuto, la Regalpetra delle Parrocchie, dipinta con affetto, con amore, ma anche con lucidità estrema, con fedeltà piena alla verità – “il problema di Sciascia”, scrive Claude Ambroise nella densa prefazione al primo volume delle sue opere edito da Bompiani, “è quello della verità”), Sciascia si misura con coraggio – non è esagerato dire con eroismo – con le sue devastazioni e le sue numerose piaghe, e prima di tutto con il tumore che più di ogni altro male la consuma, la mafia. Lo fa in numerosi romanzi, il più famoso dei quali è senza dubbio alcuno Il giorno della civetta. In questo lavoro di altissimo valore morale, la cui trama (così universalmente nota che non mette conto riassumerla, basti dire che un integerrimo funzionario dei carabinieri indaga su un omicidio di mafia che in molti, per oscuri interessi, si ostinano a rubricare come fatto di sangue tragico ma non certo di matrice criminale, e meno che mai riconducibile a Cosa Nostra) si sviluppa seguendo il registro del giallo classico, il tema della verità (della sua esistenza, della sua irraggiungibilità e del ruolo della letteratura nel suo disvelamento) non solo è cruciale, ma assurge a simbolo dell’identità di un Paese, della sua capacità di essere (o della sua consapevole, e pertanto colpevole, rinuncia a essere) comunità nel senso più alto del termine, e cioè modello e rifugio per i suoi cittadini. Il paesino in cui si verifica il delitto con cui si apre Il giorno della civetta, prigioniero dell’omertà mafiosa e del suo corrotto codice di comportamento, radicato in un individualismo cieco e senza futuro e nella soddisfazione, costi quello che costi, dell’interesse personale, è l’esatto opposto di una comunità, al pari dello Stato, nel cui organismo la mafia è già penetrata trovando terreno fertile.
Come spiega ancora Ambroise, ne Il giorno della civetta “Bellodi cerca la verità e la scopre, anzi, la scopre troppo rapidamente per un detective di giallo classico. Egli non ha dubbi, il lettore neanche. L’inchiesta procede a senso unico, diretta ai soli mafiosi, alla pista della signora Nicolosi il lettore sa di non dover prestare fede. Le cose durano perché la verità non è tanto da trovare quanto da provare. Pur avendola raggiunta, Bellodi non conclude. Il lettore è convinto, non il giudice istruttore, e l’inchiesta dell’ufficiale dei carabinieri si disfa. Nel romanzo giallo classico il detective scioglie l’enigma facendo un racconto del delitto o costringendo qualcuno, il colpevole per esempio, a farlo. È il momento della verità: si attua un consenso, l’assassino si arrende alla giustizia, si suicida… Tale racconto, Bellodi, come del resto gli altri inquirenti dei romanzi di Sciascia, non viene messo in condizione di poterlo fare. Nel Giorno della civetta, sulla verità prevale un altro racconto, la falsa testimonianza di un mafioso al di sopra di ogni sospetto. In questo scambio delle parti è come se si riassumesse il significato ideologico del romanzo. Nel contempo, è facilmente reperibile una certa funzione della letteratura: dello iato tra una visione ideale dello Stato e la società contaminata dalla mafia nonché della impotenza e dello strapotere della delinquenza organizzata, può un romanzo tipo giallo dare una esatta rappresentazione. La verità viene detta dalla letteratura. Essa sola è in grado di articolare il discorso della verità anche come denuncia di una non raggiunta verità pratica”.
Il giorno della civetta non è solo un romanzo magistrale, un capolavoro letterario, un’opera stilisticamente impeccabile; è il patrimonio di tutte le generazioni. E da ogni vecchia a ogni nuova generazione andrebbe trasmesso, come la più preziosa delle eredità.
Eccovi l’incipit, buona lettura.
L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista “un momento” e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.