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Da un’amica scrittrice

Recensione di “Trenta denari (una storia d’amore)” di Paolo Vitaliano Pizzato

Paolo Vitaliano Pizzato, Trenta denari (una storia d’amore), Prospero Editore

Trenta denari (una storia d’amore) edito da Prospero nel 2019, quarta fatica di Paolo Vitaliano Pizzato dopo Ripaferdine (Giraldi, 2017), inizia con un tenue fascio di luce che forse rappresenta l’offerta di un altrettanto tenue appiglio, dentro la stanza e dentro il protagonista, per la salvezza da un pervasivo sentimento di vergogna. E l’intero romanzo, difatti, si potrebbe intendere come un far luce su tale sentimento, attraverso la penetrazione della propria ombra da parte di Alberto De Monti.


Un uomo in conflitto che avverte di essere al tempo stesso artefice e vittima della sua nuova condizione sentimentale, quella di promesso traditore (vissuta però come la vive chi è tormentato al solo pensiero di tradire e che considera a pieno titolo un tradimento il contorno di messaggi di apprezzamento e d’intesa, di brama, di complicità che conduce all’instaurazione di una relazione extraconiugale, prima ancora che eventuali rapporti fisici abbiano luogo). Condizione che da un lato gli provoca ansia e disagio ma dall’altro è ingresso imprevisto per un mondo sconosciuto, eccitante. In fondo non è mai troppo chiaro se il disagio provato dal personaggio principale si nutra più del timore di potersi ingannare (“si chiese se il suo corpo sarebbe stato capace di mentire”) o se invece del senso di colpa.

La realtà domestica, nella muta presenza degli elettrodomestici, negli ambienti colmati dei respiri del sonno, interrompe con freddezza ed estraneità il corso di speranze e incertezze e contrappone un parallelo estremamente concreto all’impalpabilità di ricordi e fantasie. A concedersi di sognare è un uomo che conosce il dolore segreto di un sogno abortito: quello di un grande appassionato di letteratura che rinuncia ad entrare a farne parte prima di averci provato. Su questo passaggio ci si sofferma brevemente ma l’importanza di quel sogno, tuttavia, si riflette dirompente nelle dichiarazioni d’amore verso i libri e la lettura, intrecciate ad altri amori. La temperatura cromatica degli ambienti, la fase del giorno, o meglio della notte (abitiamo, a dire il vero, proprio il passaggio dalla notte al giorno) in cui la narrazione procede a salti orari medi di una decina di minuti, è una metafora azzeccata per lo smarrimento ma lo è altrettanto per l’oscurità dell’attrazione: “quel che lo affascinava non era tanto mettere alla prova la memoria quanto riuscire a confondersi, a smarrirsi” viene detto su Alberto mentre, al buio in un locale della casa, ricorda quando gli capitava lo stesso da bambino e lo accoglieva come un gioco. Tuttavia le medesime parole all’interno di questa storia, con gli occhi di questo personaggio, offrono anche una seconda chiave di lettura: perdersi nelle ombre di un ambiente pur conosciuto è come lasciarsi tentare dalla perdizione, è attendere di essere colti di sorpresa, sopraffatti da un’emozione che abbatta la serenità. Acquisire la consapevolezza che cedere a tale azzardo possa comportare un prezzo considerevole, avvicina il vissuto del protagonista al limbo morale che caratterizza molti personaggi dei romanzi ottocenteschi, ad esempio quelli delineati da Dostoevskij, citato non a caso. Anche la scelta tra le promesse fornite da due figure di donna profondamente diverse nel rapportarsi a lui racconta la spaccatura della personalità di Alberto (con il quale molti lettori potrebbero scoprire di avere qualcosa in comune), incerto tra il desiderio di equilibrio e la volontà di perderlo.

Paolo Pizzato ha scelto di affrontare un tema frequente in letteratura con un taglio personale; come spesso succede nella sua scrittura l’introspezione è filtrata in primis attraverso una lente feroce che occlude le arterie vitali: quella della colpa. Le parole, selezionate accuratamente come sempre e ordinate in periodi raramente asciugati all’osso, scorrono come un fiume in piena.

(Lucia Grassiccia)

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